Orbitopatia di Graves: dalla decompressione endoscopica alla chirurgia palpebrale
Solo il 5 % dei pazienti affetti da orbitopatia di Graves richiede un trattamento chirurgico diretto ad espandere il volume della cavità orbitaria mediante l’abbattimento di 1-3 pareti ossee.
La erniazione del contenuto orbitario nella cavità nasale permette una significativa riduzione dell’esoftalmo; la tecnica endoscopica ha reso questa procedura efficace con risultato stabile nel tempo e limitati disagi per il paziente. È di grande importanza sia il timing dell’operazione sia una corretta sensibilizzazione del paziente sulla possibilità di più interventi successivi diretti alla correzione dello strabismo e, da ultimo, dei problemi palpebrali.
La chirurgia è rimandata alla fase quiescente cicatriziale della malattia dopo che da almeno 6 mesi l’esoftalmo rimane stabile (Hertel): questa regola trova eccezione solo in casi di una neuropatia ottica compressiva o di severa esposizione corneale. È fondamentale un’accurata documentazione preoperatoria con TC, fotografie, esame oculistico completo con CV, endoscopia diagnostica e, se presente strabismo, misura prismatica dello stesso. La stretta collaborazione con i Colleghi oculisti ha reso la gestione del paziente affetto da orbitopatia un momento privilegiato di condivisione dei ruoli e delle responsabilità a tutto beneficio della salute del paziente. Il video illustra le varie tecniche adottate nelle diverse circostanze.
La decompressione orbitaria nella malattia di Basedow
Il morbo di Basedow (o malattia di Graves) è la più frequente patologia che riguarda la tiroide. Ha una spiccata predilezione per il sesso femminile (F:M=7-10:1) ed insorge generalmente tra i 30 e i 50 anni. È spesso dimostrabile una familiarità per malattie autoimmuni.
È dovuto alla produzione di autoanticorpi stimolanti la tiroide che simulano l’azione del TSH. Alcuni di tali autoanticorpi sono specifici e patognomonici (Ab anti TSH-recettore ad attività stimolante, rilevabili nella quasi totalità dei casi), mentre altri sono non specifici (Ab anti TPO, presenti nell’80% dei casi, e Ab antiTG, presenti nel 30% dei casi).
Il gozzo tossico diffuso è un elemento clinico costante nel morbo di Basedow: il volume della tiroide è aumentato in modo uniforme e simmetrico, a causa dell’ iperplasia delle cellule follicolari; si nota inoltre una vistosa vascolarizzazione. Gli altri elementi clinici caratteristici sono l’oftalmopatia infiltrativa, patognomonica ma riscontrabile solo nel 50% dei pazienti, e la dermopatia infiltrativa o mixedema pretibiale, presente solo nel 5% dei pazienti; entrambe sono dovute all’accumulo di mucopolisaccaridi idrofili e di un infiltrato linfocitario rispettivamente nel tessuto retrobulbare e nel derma. Esistono molte controversie su quali siano i siti di azione degli autoanticorpi ma il risultato finale è un aumento di volume dei tessuti molli dell’orbita sia muscolari che adiposi e connettivali; ciò comporta un aumento della pressione intraorbitaria con riduzione del ritorno venoso che a sua volta peggiora il quadro. L’aumento della pressione intraorbitaria può agire in duplice modo: se il setto orbitario è sufficientemente lasso si osserva una protrusione del bulbo oculare e ciò rappresenta quindi un fisiologico tentativo di diminuire la pressione intraorbitaria. Viceversa se il setto orbitario è tenace la protrusione del bulbo oculare può essere ridotta ma l’aumento di pressione agisce in modo deleterio sul nervo ottico potendo comportare una neuropatia con conseguente diminuzione della vista. Quindi non c’è correlazione tra gravità della malattia e protrusione del bulbo oculare. La protrusione del bulbo oculare comporta oltre che un più o meno evidente danno estetico, anche una riduzione da parte delle palpebre di umidificare e bagnare la superficie corneale con conseguente esposizione della cornea agli agenti atmosferici con possibilità di bruciore oculare, rossore, senso di corpo estraneo e iperemia congiuntivale fino alle lesioni corneali. La malattia di Graves ha un andamento ciclico caratterizzato da fasi croniche e riacutizzazioni. La terapia è innanzitutto medica soprattutto nella fase acuta e prevede l’uso di cortisone sistemico ad alte dosi e per lunghi periodi di trattamento; si associano steroidi topici, lacrime artificiali, e pomate che hanno lo scopo di prevenire le lesioni corneali. Un’altra possibilità è l’iniezione sottocongiuntivale o retrobulbare di steroidi ma i risultati non sono così significativi come nella terapia sistemica. Anche la radioterapia ha un ruolo importante nella terapia dell’oftalmopatia basedowiana sia per la proprietà antinfiammatoria delle radiazioni ma anche per l’effetto immunosoppressivo delle stesse. Gli effetti collaterali della radioterapia sono la retinopatia, la possibilità di un tumore radioindotto e la possibilità di indurre l’insorgenza di cataratta. La chirurgia, che dovrebbe essere eseguita durante la fase di quiescenza della malattia, ha lo scopo o di aumentare il volume del contenitore orbitario o diminuire il volume del contenuto con conseguente riduzione della pressione endorbitaria. Il presupposto indispensabile prima di eseguire una decompressione orbitaria è la presenza di un quadro ormonale stabile da almeno 6 mesi. La terapia medica che sempre rappresenta il trattamento di prima scelta deve avere perso la sua efficacia. La valutazione preoperatoria prevede una visita oculistica completa con la determinazione del campo visivo con lo scopo di evidenziare precocemente un’eventuale neuropatia ottica, l’esecuzione di una TAC o RMN, un corredo fotografico che documenti il quadro oculare preoperatorio e infine una fibroscopia nasale con fibre ottiche.
La decompressione orbitaria può essere eseguita o riducendo il volume del contenuto orbitario, cosidetta decompressione grassosa che comunque è utilizzata raramente e solo per esoftalmi molto modesti oppure aumentando il volume del contenitore orbitario eseguendo la decompressione di una, due o tre pareti ossee a seconda della necessità. La decompressione ossea può quindi essere eseguita per via esterna o, quando l’esoftalmo è di notevole entità, per via endoscopica con asportazione della sola parete mediale o della parete mediale e inferiore dell’orbita.
L’intervento inizia con l’incisione e scollamento della mucosa al davanti del processo uncinato, vengono quindi asportati la mucosa ed il processo uncinato e si completa la procedura rimuovendo la radice alta dell’uncinato stesso; si esegue una apertura del seno mascellare che viene poi ulteriormente ampliata a spese della zona delle fontanelle. Inizia a questo punto l’etmoidectomia anteriore con l’apertura della bulla etmoidale e successiva identificazione e apertura del recesso frontale. Completata l’etmoidectomia anteriore si apre la lamina basale del turbinato medio e si inizia l’etmoidectomia posteriore completata da una ampia sfenoidotomia. A questo punto si esegue l’asportazione della lamina papiracea in alto sino al tetto etmoidale, posteriormente sino alla parete anteriore del seno sfenoidale ed inferiormente sino al nervo infraorbitario che rappresenta il limite infero-laterale della decompressione. Una volta completata l’etmoidectomia è possibile visualizzare il recesso frontale, l’arteria etmoidale anteriore, il tetto etmoidale, lo sfenoide ed il seno mascellare Si esegue a questo punto la prima incisione alta della periorbita, una seconda incisione bassa ed una terza incisione in modo da realizzare uno sportello di periorbita a cerniera posteriore formando così un opercolo rettangolare per una adeguata erniazione del contenuto orbitario. Non esiste uno schema univoco di come deve essere eseguita l’apertura della periorbita in quanto questa procedura è influenzata dalle necessità del singolo paziente e dall’eventuale presenza di neuropatia ottica. Quasi mai è richiesto il tamponamento della fossa nasale e la dimissione avviene sempre il giorno successivo all’intervento.